L'ultimo provvedimento approvato dal Consiglio dei ministri, che prevede una tassa al 20 per cento sui redditi da affitto, dimostra ancora una volta quanto il governo Berlusconi abbia a cuore gli interessi dei grandi proprietari immobiliari e non di noi normali cittadini. Secondo, infatti, Confedilizia, l'associazione di categoria, con il vecchio metodo chi aveva un reddito di oltre 75mila euro veniva tassato con un'aliquota Irpef al 43%, per cui se l'importo degli affitti incassati in un anno era di 10mila euro, avrebbe dovuto pagare su questa cifra 3.655 euro di tasse, oggi ne pagherà solo 2mila (-1.655 euro). I vantaggi saranno più evidenti per tutti i proprietari che denunceranno redditi superiori ai 28mila euro. Una scelta, quella del governo Berlusconi, che chiaramente non premia i redditi da lavoro, tassati nella fascia più bassa al 23%, ma quelli di derivazione patrimoniale. In particolare coloro che hanno molte case, cioè la rendita speculativa della grande proprietà immobiliare, con un intervento che fa a pugni con il principio di progressività, stabilito con l'articolo 53 della Costituzione. Il tutto avviene dopo che il governo Berlusconi ha varato l'ennesima manovra «lacrime e sangue». La modalità con sui si è deciso di fare a pezzi lo stato-sociale è allarmante: blocco dei rinnovi contrattuali nel pubblico impiego per i redditi superiori 1.200 euro al mese; tagli ai trasferimenti alle Regioni, agli Enti locali con gravi ripercussioni per i servizi forniti soprattutto alle fasce deboli, licenziamento di oltre 100mila precari dalla pubblica amministrazione; tagli alla sanità, come se la tutela della salute, prevista dall'art. 32 della Costituzione italiana, fosse diventata un obiettivo da cui il governo si può sottrarre senza alcuna vergogna (ormai è diventato normale doversi pagare anche la fisioterapia e le analisi di laboratorio); l'avvio di una vera e propria controriforma delle pensioni che in particolare colpisce le donne che saranno vittime dell'innalzamento dell'età pensionistica, con la solita scusa: è l'Europa che lo chiede. La riduzione degli interventi statali sul welfare non può che peggiorare la situazione della nostra provincia, che è sempre più in crisi. I numeri, e non le chiacchiere dei soliti ciarlatani che continuano a raccontarci che va tutto bene, ci aiutano a capire la drammaticità del problema: il primo semestre di quest'anno, rispetto ai primi sei mesi del 2009, ha fatto registrare un incremento della Cig totale (ordinaria, straordinaria e in deroga) dell'85,4% (da 1,3 a 2,5 milioni di ore) .La disoccupazione dilaga: in provincia di Latina nella prima metà del 2010 sono stati calcolati 2.390 disoccupati in più rispetto al 2009, +2,9% (Fonte: Unioncamere), con un tasso di disoccupazione che supera abbondantemente il 10% (Fonte: Confindustria Latina), in particolare sono colpiti i precari che non possono godere di alcun ammortizzatore sociale, se non l'assegno di disoccupazione ( 6 mesi). Le azioni messi in campo dagli enti locali, regione e provincia, sono come una goccia nell'oceano, insufficienti a fermare l'emorragia della perdita dei posti di lavoro, soprattutto a causa di una cattiva gestione del FSE (Fondo sociale europeo), con cui l'UE finanzia le politiche di sostegno al reddito dei lavoratori in cassa integrazione e le politiche atte a prevenire e combattere la disoccupazione. Contemporaneamente è esploso il numero delle famiglie che per sopravvivere ricorrono all'indebitamento sia nei confronti delle banche che delle finanziarie, arrivando spesso anche a rivolgersi agli usurai pur di arrivare a fine mese, con tutti i rischi che scelte del genere comportano. I dati dell'Associazione Artigiani e Piccola Impresa di Mestre (Cgia) sono eloquenti: su ogni famiglia della provincia di Latina pesa un debito di 13.013 euro (dati 2009), con aumento di 947 euro rispetto all'anno precedente (2008). Siamo nel pieno della crisi ma sembra che ai nostri politici non interessi.
Roberta Trombetti |