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Il numero 29 raccoglie i comunicati stampa dell'Aprile del 2016. Nel primo abbiamo denunciato il fatto che nel testo definitivo del nuovo codice degli appalti, pubblicato in gazzetta ufficiale, è saltata l’obbligatorietà delle clausole sociali, con le quali i lavoratori dell’impresa uscente vengono assorbiti da quella subentrante. Nel secondo abbiamo raccontato quanto successo all’interno della sala d’attesa del pronto soccorso di Formia, cioè la caduta di parte del soffitto – documentata da un video – con tutte le conseguenze negative che avrebbe potuto comportare se fosse caduto in testa a chi in quel momento l’affollava. Nel terzo abbiamo ricordato che il 25 aprile del 1945 l’Italia venne liberata dal nazifascismo con una lotta che vide fianco a fianco uomini e donne, operai e intellettuali, contadini del Nord e del Sud. Nel quarto abbiamo espresso la nostra solidarietà ai lavoratori del pastificio Paone che hanno scioperato per il mancato pagamento di numerose mensilità. Nel quinto abbiamo espresso la nostra solidarietà alla giovane attivista dei diritti umani Sabrina, aggredita da uno sconosciuto mentre si prestava a fare ritorno a casa. Nel sesto abbiamo invitato i cittadini ad andare a votare “si” al referendum “contro le trivelle” di domenica 17 aprile. Nel settimo abbiamo denunciato il Il vergognoso silenzio delle istituzioni sulla cessione dei punti vendita COOP, tra cui quello di Formia. Nell'ottavo abbiamo denunciato la truffa che si nasconde dietro a “Garanzia Giovane. Nell'ottavo abbiamo lamentato della mancata liquidazione dell’indennità di disoccupazione.

circolo “ENZO SIMEONE”

partito della Rifondazione Comunista

Formia

Il nuovo codice degli appalti mette a rischio centinaia di migliaia di posti di lavoro negli appalti pubblici

30 Aprile 2016

Nel testo definitivo del nuovo codice degli appalti, pubblicato in gazzetta ufficiale, è saltata l’obbligatorietà delle clausole sociali, con le quali i lavoratori dell’impresa uscente vengono assorbiti da quella subentrante. Da oggi invece – grazie al governo Renzi – questa possibilità sarà solo facoltativa e non obbligatoria.

L’articolo Art. 50 (Clausole sociali del bando di gara e degli avvisi) prevede infatti che:“ Per gli affidamenti dei contratti di concessione e di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale, con particolare riguardo a quelli relativi a contratti ad alta intensità di manodopera, i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti possono inserire, nel rispetto dei principi dell’Unione europea, specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilita’ occupazionale del personale impiegato, prevedendo l’applicazione da parte dell’aggiudicatario, dei contratti collettivi di settore di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81. I servizi ad alta intensità di manodopera sono quelli nei quali il costo della manodopera e’ pari almeno al 50 per cento dell’importo totale del contratto”.

Inizialmente le commissioni parlamentari, che, pressati dai sindacati, nei loro pareri sullo schema di codice avevano chiesto di introdurre l’obbligatorietà delle clausole sociali.

Così sia il parere della Camera che quello del Senato avevano vincolato l’approvazione del testo all’inserimento della frase “debbono inserire specifiche clausole sociali” al posto della formulazione “possono prevedere”.

Alla fine le richieste sono cadute nel vuoto.

Il governo ha infatti confermato il contenuto dello schema nel testo contenuto nel D.Lgs. 50 del 2016. La vicenda del codice degli appalti dimostra se ancora ce ne fosse ancora bisogno che questo è il governo delle lobby degli affaristi più feroci. Altro che la tutela dei lavoratori di cui parlano a vanvera Renzi e i suoi ministri durante i loro interventi istituzionali al solo scopo di gettare fumo negli occhi.

Il governo facendo sparire la clausola sociale ha reso di fatto tutti i lavoratori degli appalti ricattabili. In caso di successione tra due stazioni appaltanti nella gestione di un servizio in appalto, infatti, i lavoratori rischiano di non avere quella continuità lavorativa che dovrebbe invece essere garantita dal posto di lavoro con l’applicazione dei relativi trattamenti normativi ed economici previsti dai contratti collettivi.

In base al nuovo codice degli appalti la possibilità di utilizzare i medesimi lavoratori deve essere prevista nel bando di gara, quindi sarà necessario che i lavoratoti e i sindacati si attivino nelle varie realtà locali, perché ciò che è uscito dalla porta (i loro diritti) rientrino dalla finestra.

E però non basta, infatti il governo ha eliminato il divieto del massimo ribasso per le opere inferiori al milione di euro: l’80% del mercato ed ha anche eliminato l’obbligo, sotto quella soglia, di indicare i subappaltatori.

Ovviamente se ne avvantaggeranno sopratutto gli imprenditori senza scrupoli e la criminalità organizzata, da sempre brava quando si tratta di imporre i propri imprenditori negli appalti pubblici.

Non potrebbe essere più chiaro: non è solo la semplice parola capitalismo a preoccuparci ma il ritorno alla legge della giungla e a farne le spese i lavoratori, soprattutto quelli che svolgono mansioni più umili.

E’ necessario quindi riprendere a difendere i principi della libertà e della dignità che sono stati scritti nella nostra Costituzione con il sangue dei partigiani.

Circolo “Enzo Simeone”

Partito della Rifondazione Comunista

Formia

Il crollo nel pronto soccorso di Formia è la fotografia reale della sanità pontina

26 Aprile 2016

Quanto successo all’interno della sala d’attesa del pronto soccorso di Formia, cioè la caduta di parte del soffitto – documentata da un video – con tutte le conseguenze negative che avrebbe potuto comportare se fosse caduto in testa a chi in quel momento l’affollava, è solo l’ennesima conferma di quanto scriviamo – inascoltati – ormai da anni e cioè che la sanità pubblica della provincia di Latina è ormai “morta e sepolta”, a causa dei numerosi tagli apportati con la scusa della lotta agli sprechi.

Eppure sono passati solo pochi giorni da quando il presidente della regione Lazio è venuto a Formia per portarci la buona novella della sanità pontina che ritornava ad essere al centro dell’azione politica della sua giunta, con tanto di spettacolarizzazione della cosa.

La promessa – con cui si è lestamente allontanato dalla nostra città – è che sarebbero piovuti infermieri e medici come in una giornata di pioggia, perché il centrosinistra (PD, SEL e residui vari) hanno a cuore la nostra salute.

Ed invece – lo dimostra l’accaduto – è esattamente l’opposto.

A fronte degli ingenti investimenti necessari affinché la sanità pubblica non muoia definitivamente, “Zingaretti e i suoi boys” ci regalano solo briciole, nemmeno sufficienti a garantire che le strutture sanitarie pubbliche siano sicure come dovrebbero.

D’altronde il diritto alla salute, stabilito dall’articolo 32 della nostra Costituzione, è ormai un lontano ricordo.

L’attacco alla sanità pubblica è sempre più feroce e sempre più senza tregua, al pari dell’impegno con il quale stanno distruggendo lo stato sociale.

Ormai se non vai in giro con una busta di soldi per pagarti le cure nelle strutture private sei spacciato.

Lo dice anche l’Ufficio parlamentare di bilancio, il ferreo presidio di ricerca che ha il compito di fare da cane da guardia ai conti pubblici sulla scorta delle regole europee, che gli italiani hanno rinunciato a curarsi. Un cittadino su tre rinuncia ormai a ricorrere alla cure sanitarie. E tra i poveri va ancora peggio, perché ovviamente se non hai i soldi non puoi curarti.

La colpa è dei reparti chiusi, dei medici e degli infermieri che mancano, delle interminabili liste d’attesa per gli esami sanitari. Una vergogna – ancora più grave – perché a pagamento, nella stessa struttura, con gli stessi medici, è possibile farli in tempi brevissimi (effetto del detto popolare che dice che “i soldi fanno tornare la vista anche ai cecati”?). E infine dei ticket che sono cresciuti del 20 per cento in pochi anni.

I dati riguardano il 2013, prima cioè dell’esecutivo Renzi, e risentono soprattutto delle politiche di austerità messe in atto da Monti tra il 2011 e il 2012, ma suonano comunque come un campanello d’allarme circa i potenziali effetti dei tagli annunciati al Fondo sanitario nazionale praticati con la nuova legge di Stabilità 2016.

Secondo la Corte dei Conti – altro organo che non può essere accusato di essere formato da pericolosissimi comunisti – infatti: “alla revisione della spesa per 2.352 milioni già considerata nel quadro del Documento economia e finanza , noto anche come DEF, 2015, sono seguite le ulteriori riduzioni previste per il 2016 (per oltre 2 miliardi con corrispondente riduzione del fabbisogno sanitario nazionale standard) e la decisione, maturata in occasione dell’approvazione dell’Intesa Stato Regioni dello scorso 11 febbraio, di prevedere che, dei risparmi richiesti alle Regioni dalla legge di stabilità 2016, gravino sul settore sanitario 3.500 milioni (dei 3.980 milioni) nel 2017 e 5.000 milioni (sui 5.468 milioni) nel 2018”.

Nel DEF 2016 è previsto infatti che la spesa sanitaria in percentuale sul Pil scenderà dall’attuale 6,8% – una quota già inferiore rispetto alla media dei Paesi OCSE, – al 6,7% del 2017 e al 6,5% nel 2018.

Si prepara quindi un nuovo pesantissimo taglio al Servizio Sanitario Nazionale, pari a 3,5 miliardi nel 2017, che nel 2018 arriverà addirittura a 5 miliardi, decretando così la definitiva morte della sanità pubblica.

Ovviamente a beneficiarne saranno i padroni della sanità privata, pronti a subentrare, qualora il piano di Renzi – degno successore di chi lo ha preceduto nei tagli – vada in porto.

E pazienza se i poveri non potranno più curarsi, a loro verrà regalato un bel loculo da utilizzare “post mortem” nel cimitero della città presso cui risiedono, perché secondo la vulgata capitalistica curarli costa troppo e allora è giusto che crepino, con i sentiti auguri tanto del centrodestra che del centrosinistra.

Circolo “Enzo Simeone”

Partito della Rifondazione Comunista

Formia

Celebrazioni del 71° anniversario della liberazione dell’Italia dal nazifascismo

22 Aprile 2016

Il 25 aprile del 1945 l’Italia venne liberata dal nazifascismo con una lotta che vide fianco a fianco uomini e donne, operai e intellettuali, contadini del Nord e del Sud. Sono passati settantun’anni da quella data e oggi la nostra democrazia corre grandi pericoli. I continui colpi del revisionismo storico, e i tentativi di scrivere un’altra storia, puntano a cambiare la Costituzione e a consegnare i diritti, i valori, gli ideali ai potentati economico-finanziari che li manovrano, finanche alle leggi del mercato più spietate, nelle quali le persone tornano ad essere oggetti nella disponibilità del padrone di turno.

Registriamo gli attacchi ai diritti del lavoro, ai sistemi della scuola, dell’informazione, della giustizia, che producono impoverimento e cancellano dall’orizzonte la possibilità di futuro per le nuove generazioni. Non vogliamo restare indifferenti e fermi a guardare, ci mobilitiamo, scendiamo in piazza pronti a riprenderci questa giornata di festa, per mantenere vivo il ricordo della Resistenza e della Liberazione, in forma attiva e non solo celebrativa, fuori da una visione puramente retorica o soltanto simbolica, affinché nelle nuove generazioni – che diventeranno le nuove classi dirigenti – si rafforzi l’amore per la libertà e l’impegno per i principi di giustizia sociale, per riaffermare i valori ricevuti in eredità: la solidarietà e il riconoscimento dell’antifascismo e della democrazia come valori comuni e doveri sociali.

A settantun’anni dalla Liberazione, il 25 Aprile ci richiama tutte e tutti a un impegno ancora maggiore per difendere e testimoniare ogni giorno questi valori, soprattutto dagli attacchi di chi vuole mettere una pietra sopra con l’obbiettivo di far dimenticare il regime fascista e le atrocità che lo hanno caratterizzato.

Come eredi dei partigiani – che pagarono con il sangue la loro scelta di campo – affermiamo con forza quanto sia importante continuare la battaglia civile e culturale contro quelli che rimuovono, che dimenticano, che preferiscono la retorica del fare alla responsabilità verso la propria storia.

Per questo motivo anche quest’anno – in occasione della ricorrenza della “Festa della Liberazione” abbiamo deciso di organizzare una serie di iniziative di sensibilizzazione

Il programma della giornata prevede due appuntamenti: alle ore 10.00 – all’interno del parco “Tosti di Valminuta” (Formia) , si terrà il consueto omaggio agli uomi e alle donne della Resistenza e all’intellettuale comunista Antonio Gramsci, nonché tra i fondatori – insieme ad Amadeo Bordiga – del partito comunista italiano. Il tutto accompagnato da una selezione di brani musicali della resistenza. Alle ore 16.00 invece– presso la nostra sede di via Maiorino n.31 (Formia) – si terrà la proiezioni dei seguenti documentari:“Partigiani”, lavoro collettivo realizzato con Guido Chiesa, Daniele Vicari, Antonio Leotti, Marco Puccioni. Secondo capitolo della trilogia sulla Resistenza a Correggio, è costruito come un caleidoscopio di temi e volti – cerca di costruire un ritratto non sentimentale dei partigiani, delle loro storie, dei rapporti tra uomini e donne durante la Resistenza, della difficoltà di trasmettere il sentimento antifascista ai giovani. E infine “Noi sempre lotterem”, realizzato dal Fronte della Gioventù Comunista in collaborazione con gli storici Davide Conti e Massimo Recchioni, in occasione del 70° anniversario della Liberazione.

Un momento di riflessione sugli avvenimenti storici, sugli ideali,le speranze, i sogni di una generazione in lotto per un’Italia migliore, le vittorie e le sconfitte degli anni del dopoguerra.

Sono invitati a partecipare tutti gli antifascisti e tutte le antifasciste.

Potremo così urlare:“Viva la Resistenza, Viva la Lotta Partigiana”.

Circolo “Enzo Simeone”

Partito della Rifondazione Comunista

Formia

La nostra solidarietà ai lavoratori del pastificio Paone

20 Aprile 2016

Non sappiano quali siano le reali motivazioni che hanno determinato il mancato pagamento delle numerose mensilità di cui si lamentano a ragione i lavoratori del pastificio Paone, ma di certo sappiamo che i primi a rimetterci a causa dell’assenza di una sana politica industriale sono proprio i lavoratori.

I lavoratori infatti rimangono ostaggio della famiglia Paone, loro come milioni di lavoratori che sono ritornarti ad essere proprietà dei padroni, senza alcun diritto, nemmeno quello di ricevere la retribuzione prevista dai contratti nazionali di categoria.

In questi anni la forbice tra chi ha e chi non ha si è allargata così tanto che oggi appena l’1% degli abitanti del globo posseggono quanto il restante 99%. Come è stato possibile ciò? Noi comunisti lo abbiamo spiegato più volte: l’impoverimento dei lavoratori è frutto dell’alleanza tra la politica e i padroni.

D’altronde la rappresentanza parlamentare dei lavoratori è ormai numericamente molto esigua, mentre invece abbondano servi e servetti dei padroni, pronti a votare le peggiori porcherie pur di guadagnarsi la loro benevolenza.

Lo conferma l’operato dell’attuale governo Renzi, che ha abolito definitivamente la tutela dal licenziamento illegittimo e che ha liberalizzato ulteriormente il contratto a tempo determinato, per garantire ai padroni libertà di licenziamento e regalare loro decine di miliardi di sgravi fiscali per tre anni ; che ha confermato lo strumento del voucher in un’ottima occasione per nascondere il lavoro in nero; che ha diminuito il servizio di ispezione sul lavoro, così da favorire lo sfruttamento indiscriminato dei lavoratori.

Eppure ci sarebbe molto da fare per difendere i lavoratori dai padroni senza scrupolo.

E nonostante questo la realtà è ben diversa da quella che ci raccontano il presidente del consiglio e la sua corte fiorentina: La disoccupazione continua ad essere indegna di un paese che ha scritto nell’articolo 1 della Costituzione: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.

A questo si aggiungono spesso ritmi di lavoro disumani, quando invece la risposta – grazie anche alla tecnologia di cui disponiamo – è sempre la stessa: lavorare meno, lavorare tutti.

Ovviamente questo è possibile solo se la classe operaia riscoprirà l’importanza della solidarietà di classe, della radicalizzazione della lotta, della sindacalizzazione dal basso.

Per questo motivo invitiamo i lavoratori – anche quelli del pastificio Paone – a non mollare, ad occupare piazze e luoghi di lavori, per riprendersi ciò che spetta loro: i diritti, compreso quello a percepire il salario che spetta loro.

Ovviamente ci troveranno sempre dallo loro parte, mentre al solito non sarà della partita la politica di palazzo da sempre assente quando si tratta di aiutare in concreto i lavoratori nei momenti di crisi come questo.

I lavoratori del pastificio Paone hanno inoltre il diritto di pretendere che i consiglieri comunali trovino il tempo di occuparsi del loro caso, del loro come dei casi dei tanti lavoratori che stanno subendo sulla loro pelle gli effetti di una crisi economica devastante che dura almeno da un decennio e che le soluzioni adottate fino ad oggi non hanno fatto che aggravare, riducendo i salari e i diritti.

Circolo “Enzo Simeone”

Partito della Rifondazione Comunista

Formia

La nostra solidarietà a Sabrina

15 Aprile 2016

L’aggressione avvenuta la scorsa notte a Scauri ai danni di una giovane attivista per i diritti dei migranti è un atto vile e meschino.

Una violenza gratuita e vigliacca che fa indignare ed arrabbiare ancora di più perché riassume due tra i più odiosi e intollerabili reati che una certa mentalità reazionaria riesca a produrre: la violenza su una donna e l’intolleranza verso gli immigrati.

L’autore dell’aggressione imputa a Sabrina probabilmente la colpa di aiutare i migranti ad integrarsi nella nostra società.

Non è più possibile tollerare azioni come questa, frutto anche della presenza nelle nostre città di realtà che sono dichiaratamente fasciste e che alimentano una politica violenta e razzista nei confronti di chi opera per favorire l’integrazione dei migranti e che invece i fascisti considerano dei nemici da combattere, in quanto portatori di valori antitetici ai loro.

Sarebbe un grave errore sottovalutare il loro operato, coltivando l’illusione che, in fondo, si tratti di pochi e ininfluenti personaggi, che ogni tanto calcano la mano, soprattutto ora che si trovano a cavalcare l’onda dell’odio razziale nei confronti dei migranti, aiutati in questo dai mass media di regime, che spesso descrivono i migranti come privilegiati, che vivono sulle spalle degli italiani, dimenticando di raccontare il loro drammatico vissuto.

Crediamo invece che sia giunta l’ora di una presa di posizione netta di tutte le realtà partitiche, associative, sindacali, ma anche da parte di semplici cittadini, che si riconoscono in una cultura democratica e antifascista, e una ferma reazione da parte delle istituzioni, che hanno la colpa di girarsi sempre dall’altra parte legittimandone di fatto la violenza.

E’ dunque necessario tenere alto il livello di guardia nei confronti non solo degli esecutori di tali gesti, ma anche dei mandati, cioè di coloro che seminano odio nei confronti dei migranti che hanno la sola colpa di volersi rifare una vita, lontano dagli orrori della guerra e della miseria.

L’obbiettivo deve essere quello di chiudere ogni spazio di agibilità a chi ha fatto dell’odio, della discriminazione e dello squadrismo la propria pratica politica.

Il terreno dell’antifascismo è innanzitutto quello delle scuole e delle strade, proprio dove sempre più spesso riemergono tendenze pericolosamente collegate al peggiore passato della storia del nostro paese.

Da parte nostra continueremo a difendere i valori dell’antifascismo e dell’antirazzismo, dell’integrazione e dell’accoglienza, soprattutto ora che gli eredi del duce hanno messo definitivamente la testa fuori dal sacco.

Circolo “Enzo Simeone”

Partito della Rifondazione Comunista

Formia

Votiamo Sì al referendum “contro le trivelle” di domenica 17 aprile

13 Aprile 2016

Invitiamo i cittadini e le cittadine ad andare a votare sì al referendum “contro le trivelle” di domenica 17 aprile per riappropriarci di un pezzo di mare italiano, sottrattoci dalle multinazionali petrolifere, grazie alla compiacenza delle maggioranze che in questi anni si sono succedute nelle aule parlamentari, inclusa l’attuale.

Votando Sì, infatti, si blocca la possibilità che le concessioni delle multinazionali petrolifere, per l’estrazione di petrolio e di gas nello spazio di mare entro le 12 miglia (cioè poco più di 20 km dalla costa), possano durare senza limiti di tempo alcuno.

Le compagnie petrolifere finora godono infatti dell’enorme privilegio di poter continuare ad estrarre petrolio e gas senza limiti di tempo e pagando royalty bassissime rispetto ad altri paesi.

Il tutto non è nemmeno giustificato da una presunta necessità energetica.

Infatti dalle piattaforme – presenti entro le 12 miglia dalla costa (sono 21 in tutto dal Veneto alla Sicilia) – proviene appena l’1% del fabbisogno nazionale di petrolio e circa il 3% del fabbisogno di gas.

Il referendum vuole mettere al riparo i nostri mari dalle attività petrolifere come: il pericolo di sversamenti di petrolio in mare che arrecherebbero danni irreparabili alle spiagge e al turismo; il rischio di movimenti tellurici legati soprattutto all’estrazione di gas.

Un eventuale incidente, anche di piccole dimensioni, potrebbe produrre danni incalcolabili con effetti immediati e a lungo termine sull’ambiente, sulla qualità della vita e con ripercussioni gravissime sull’economia turistica e della pesca, non dimentichiamoci infatti, che i mari italiani, specie l’Adriatico, sono chiusi tra due coste.

Vogliamo davvero continuare a sacrificare il patrimonio di bellezze che le nostre coste e il nostro mare rappresentano per un quota così ridotta di combustibili.

In dieci anni – nel nostro paese – si è ridotto il consumo di energia prodotta da petrolio e gas del 33% per il primo e del 21% per il secondo.

Contestualmente l’energia prodotta da rinnovabili è arrivata a coprire il 40% dei consumi elettrici e il 16% dei consumi energetici finali.

E’ la dimostrazione che con una politica che punti sulle rinnovabili si può fare tranquillamente a meno dell’estrazione di petrolio e gas in tratti di mare che dovrebbero avere tutt’altra vocazione.722667227

Inoltre la vittoria del “Sì” non farebbe perdere alcun posto di lavoro, giacché, le attività petrolifere in corso non cesserebbero immediatamente, ma progressivamente.

Per questo concludiamo invitando i cittadini a non farsi sedurre dalla sirene del “non voto”, di cui si è fatto portavoce l’attuale presidente del governo e la sua maggioranza parlamentare, dietro cui si celano i poteri forti e cioè le stesse lobby, petrolifere e finanziarie, che stanno depredando la terra e la natura per ricavare profitto.

Per questo è necessario andare – con maggior convinzione – a votare Sì al referendum di domenica 17 aprile.

Ricordiamo infatti che perché il referendum sia valido è necessario che vadano a votare più del 50% degli aventi diritto.

Circolo “Enzo Simeone”

Partito della Rifondazione Comunista

Formia

Il vergognoso silenzio delle istituzioni sulla cessione dei punti vendita COOP

9 Aprile 2016

Succede che i circa 150 lavoratori dei cinque punti vendita COOP di Formia, Terracina, Frosinone, Tivoli e Fiuggi scendano in sciopero per protestare contro la cessione – da parte dell’UNICOOP TIRRENO – dei punti vendita presso cui lavorano, cessione con la quale viene messo a rischio il loro futuro lavorativo.

Succede anche che nessuna amministrazione comunale trovi il tempo per portare la propria solidarietà ai lavoratori coinvolti. Nemmeno quelle di centrosinistra come l’attuale amministrazione comunale che governa la città di Formia. Eppure abbiamo ancora negli occhi e nelle orecchie l’intervento del sindaco Bartolomeo che gioiva per la “buona novella”.

L’apertura del nuovo punto vendita della COOP veniva dipinta come un nuovo inizio per la nostra città.

Il lavoro vero ritornava nella nostra città ed era targato UNICOOP TIRRENO, da sempre uno tra gli sponsor del partito di Renzi, indegno erede del PCI e della DC. Ebbene sono passati meno di due anni dalla data di inaugurazione e il sindaco-presenzialista ha mostrato il suo vero volto, cioè di un uomo indifferente al destino dei lavoratori.

Nemmeno una parola ha infatti speso per chiedere conto ai dirigenti dell’UNICOOP TIRRENO del perché di questa scelta, nemmeno una parola di solidarietà ha porto nei confronti delle lavoratrici della COOP. Non ha ritenuto nemmeno utile garantire una presenza istituzionale alla manifestazione di Terracina, che ha visto i lavoratori e le lavoratrici confermare il loro no alle scelte dell’attuale dirigenza dell’UNICOOP TIRRENO. Eppure – nonostante non siano residenti a Formia – hanno il diritto di essere difesi. Noi lo abbiamo fatto e ci saremmo aspettati una levata di scudi non solo dall’attuale amministrazione ma dall’intera cittadinanza. Ed invece nulla di tutto ciò è stato fatto. E’ chiaro che esiste una questione lavorativa che spesso si trasforma in un’emergenza sociale e non è perché non riguarda i formiani ci deve lasciare indifferenti. Sarebbe un peccato imperdonabile.

D’altronde i lavoratori non hanno né colore né cittadinanza. Siamo d’altronde convinti che siamo ad una svolta epocale per i lavoratori, ormai trattati come una merce da cedere al miglior offerente, anche se questo significa maggiore precarietà, meno salari e soprattutto meno diritti.

La minaccia maggiore viene dalla santa alleanza tra imprenditori e politici, con i primi a chiedere e i secondi a cedere volentieri. In questo corsa al ribasso a distinguersi sono gli eredi del PCI e della DC, forze politiche, che nonostante le mille battaglie parlamentari, che le avevano viste contrapposte, hanno comunque creato uno stato sociale forte, dove gli ultimi erano in qualche modo tutelati. Tutele che i loro eredi invece hanno frettolosamente abbattuto, accampando la scusa che è il mercato che lo chiede.

Noi invece crediamo sia giunta l’ora di creare un fronte sociale capace di mettere all’angolo chi ha trasformato le nostre vite in un inferno.

D’altronde anche la guerra che i ricchi stanno combattendo contro i lavoratori è all’insegna del vogliamo sempre di più. La risposta da parte dei lavoratori deve essere altrettanto decisa, affinché i politici debbano essere costretti a cambiare la loro posizione e a lavorare per il bene comune.

Lo sappiamo noi e lo sanno loro che un’alleanza tra lavoratori è l’unico strumento per combatterli ed è per questo motivo che tentano di dividerci, regalando ad alcuni di noi qualche briciola, affinché desista dalla lotta.

Ed invece noi non molliamo: vogliamo tutto.

Circolo “Enzo Simeone”

Partito della Rifondazione Comunista

Formia

La truffa di “Garanzia Giovani” è servita

6 Aprile 2016

Sono oltre due decenni che ci vengono chieste a gran voce le famose«riforme strutturali». Un misto di privatizzazioni, di destrutturazione del mercato del lavoro, di perdita dei diritti acquisiti (leggi pensioni), tagli alla stato sociale (sanità, istruzione,…), che di fatto hanno reso i cittadini e i lavoratori schiavi del mercato.

Ma ogni volta appare scontata la necessità di ulteriori dosi di queste «riforme», tra cui spicca in particolare l’abbandono dell’idea del posto fisso, al quale si è sostituita l’idea dell’uomo flessibile, disposto cioè a tutto pur di trovare uno straccio di posto di lavoro, anche di sottostare a nuove forme di schiavitù.

Ad essere in particolare colpiti dall’assenza di occupazione sono i giovani. Il 42,7% dei quali è disoccupato e quasi 2 milioni e mezzo hanno già rinunciato allo studio e a cercare un lavoro.

Una delle ricette miracolose offerte loro per sottrarsi alla disoccupazione è Garanzia Giovani. Leggiamo su uno dei tanti siti della commissione europea che “si tratta di un nuovo approccio alla disoccupazione giovanile per garantire che tutti i giovani di età inferiore ai 25 anni – iscritti o meno ai servizi per l’impiego – possano ottenere un’offerta valida entro 4 mesi dalla fine degli studi o dall’inizio della disoccupazione.

L’offerta può consistere in un impiego, apprendistato, tirocinio, o ulteriore corso di studi e va adeguata alla situazione e alle esigenze dell’interessato”.

Lo stanziamento previsto dall’Unione europea è stato di 1,5 miliardi di euro, a cui vanno aggiunti un altro centinaio messi dal nostro paese.

Peccato che laddove pare sua lodevole l’iniziativa, nella realtà si è trasformato nell’ennesima occasione di sfruttamento.

D’altronde non lo scrivono solo i soliti sporchi comunisti. La stessa Europa – culla del capitalismo più reazionario – ha infatti deciso non solo di ridurre di oltre il 60% i fondi destinati a “Garanzia Giovani”, ma anche di cambiare la formula di pagamento.

Infatti le aziende che nei prossimi messi assumeranno i tirocinanti dovranno anche che sborsare due terzi dei compensi mensili.

Ovviamente la formula “Garanzia Giovani” – in terra italica – ha dato il via a una lunga serie di inefficiente tra cui in particolare: lo sfruttamento con lavoratori costretti a orari ben più lunghi di quelli previsti dal contratto e i ritardi nel pagamento degli stipendi, con molti ragazzi che hanno dovuto addirittura anticipare le spese per arrivare sul luogo di lavoro (In molti casi gli stipendi non sono stati ancora pagati).

Ritardi e inadempienze che hanno trasformato “Garanzia Giovani” in un vero e proprio calvario per i giovani, che di fatto si sono ritrovati ad essere moderni schiavi.

D’altronde questo succede quando lo Stato si sottrae alle sue responsabilità e lascia i suoi giovani in balia degli istinti peggiori del capitalismo.

Lo sfruttamento è di per sé già un fatto grave ma quando è permesso dallo Stato diventa insopportabile.

E se non sei disoccupato ti tocca la precarietà a vita grazie al “Jobs act”, che di fatto ha cancellato l’articolo 18 e il diritto alla reintegra per i nuovi assunti.

Viene così riscritto lo statuto del lavoro riducendolo a merce e cancella decenni di lotte delle lavoratrici e dei lavoratori.

Sarà sufficiente d’ora in poi per le aziende dichiarare che il licenziamento è di natura economica perché sia esclusa la possibilità del reintegro e perché – anche nel caso in cui quella motivazione sia falsa e venga riconosciuta l’illegittimità del licenziamento – il lavoratore licenziato abbia diritto solo ad una mancia.

Il risultato è la ricattabilità totale di ogni lavoratrice e di ogni lavoratore che pure sia assunto a tempo indeterminato, ma di fatto è passibile di licenziamento in ogni momento.

Circolo “Enzo Simeone”

Partito della Rifondazione Comunista

Formia

L’indennità di disoccupazione non arriva

3 Aprile 2016

Il governo Renzi ha introdotto una nuova indennità di disoccupazione, vendendola come la panacea di tutti i mali.

La Naspi – così si chiama – può essere richiesta dai lavoratori che hanno perso involontariamente la propria occupazione e che attestano di essere in reale stato di disoccupazione; che possano far valere, nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione, almeno tredici settimane di contribuzione; o che possano far valere trenta giornate di lavoro effettivo o equivalenti, a prescindere dal minimale contributivo, nei dodici mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione.

Il trattamento di disoccupazione viene ridisegnato in base alla storia contributiva del lavoratore. L’idea alla base è discriminatoria e non inclusiva: di fatto impone una discriminazione sulla base non tanto dei bisogni e della condizione reale di chi ha perso il lavoro, quanto sulla base della capacità contributiva degli stessi. Ma la capacità contributiva dipende dal tipo di contratto lavorativo che in genere non è scelto dal lavoratore liberamente ma gli è imposto forzatamente dal datore di lavoro che lo ha assunto.

Peccato che quando si passa dalle parole ai fatti la questione si complichi ancora di più e il disoccupato rischia di dover aspettare tempi biblici prima che gli venga liquidato il dovuto. Ci sono giunte infatti numerose segnalazioni da parte di lavoratori circa il fatto che a tre mesi da quando hanno fatto richiesta dell’indennità di disoccupazione non hanno ricevuto nulla, nemmeno un misero euro.

La giustificazione da parte dell’INPS è che “l’introduzione della nuova prestazione NASpI, in sostituzione delle precedenti indennità ASpI e mini ASpI, ha richiesto da parte dell’Istituto la soluzione di problemi applicativi attraverso implementazioni procedurali molto articolate, a causa delle complessità operative dovute alla gestione del nuovo calcolo. In conseguenza di ciò, la procedura di istruttoria e pagamento delle domande è stata rilasciata il 15 luglio 2015, con la necessità di gestire le domande di disoccupazione intanto pervenute a partire dal 1° maggio 2015, data di entrata in vigore della nuova prestazione (si ricorda che dal 1° maggio è stato possibile inoltrare all’INPS la relativa domanda utilizzando i consueti canali telematici)”.

Al di là delle tante belle parole che non mancano mai sulla bocca dell’attuale classe dirigente, la realtà è che ci sono migliaia di lavoratori che non hanno più nessuna forma di sostegno al reddito e pare proprio che questo non interessi a nessuno, nonostante sia un sussidio vitale per chi rimane disoccupato.

Non è accettabile – a nostro avviso – che ci siano lavoratori licenziati che si trovino costretti a dover sopportare lungaggini burocratiche di questo tipo da parte della Pubblica amministrazione e di uno Stato che dovrebbe garantire la tutela e protezione sociale dell’individuo.

A meno che il problema non sia altro.

Il nostro sospetto è infatti che la vera causa della mancata liquidazione dell’indennità di disoccupazione sia la mancanza di fondi.

D’altronde – con la scusa “ce lo chiede l’Europa” – lo stato sociale è stato ridotto ai minimi termini, con effetti mortali per la classe operaia.

In questi anni contro i lavoratori e le lavoratori si è aperta una vera e propria “caccia alle streghe” da parte dei governi e dei mass media fedeli al potere, che ha avuto come risultato lo smantellamento dei pochi diritti rimasti.

L’obbiettivo è la riduzione dei lavoratori a forza lavoro precaria, a basso costo, priva di qualsiasi diritto, licenziabile senza possibilità di reintegro, sostituito quest’ultimo con l’elargizione di una mancia.

Con la cancellazione dell’articolo 18 il lavoratore ritorna ad essere uno schiavo e non un portatore di diritti e lo staro riprende ad essere il braccio armato dei padroni.

E’ evidente che continuare a parlare di lavoro a tempo indeterminato non è altro che il tentativo dell’ufficio propaganda del governo Renzi di gettare fumo negli occhi.

Siamo ormai diventati tutti precari a vita, ma questa volta senza nemmeno più l’indennità di disoccupazione.

Circolo “Enzo Simeone”

Partito della Rifondazione Comunista

Formia

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