In ricordo dei compagni Comunisti che hanno lottato nella Guerra di Resistenza, nell’Anniversario del Liberazione dall’occupazione Nazifascista
La Resistenza e la guerra partigiana hanno avuto in Italia un carattere diverso da quello che ebbero in altri paesi d’Europa. L’Italia non era soltanto un paese invaso dallo straniero, ma un paese oppresso dalla dittatura fascista. La guerra partigiana fu lotta per l’indipendenza ed insurrezione nazionale per la conquista della libertà, ma fu – molto più che in altri paesi – lotta militare e lotta sociale nello stesso tempo: essa fu antifascista ed ebbe carattere di lotta contro quei gruppi del grande capitale che avevano dato vita al fascismo e portato il paese alla rovina. La guerra di liberazione combattuta in Italia – sebbene tradita nelle sue aspirazioni più avanzate – rappresenta l’esperienza storica più importante compiuta dal proletariato e dalle masse popolari nella lotta per prendere il potere, liberarsi dal capitalismo ed avviare la trasformazione socialista della società italiana.
Il protagonista principale della guerra partigiana e della Resistenza fu la classe operaia dei centri industriali, e che il contributo maggiore venne dato dall’avanguardia della classe operaia e dei lavoratori, il Partito comunista. Tutte le formazioni partigiane, qualunque fosse la loro ispirazione politica, si appoggiarono direttamente o indirettamente alle lotte della classe operaia, dei contadini, dei lavoratori. La Resistenza negli anni bui dell’occupazione nazifascista ha resistito grazie al contributo delle masse lavoratrici, senza le migliaia di agitazioni e di scioperi che ebbero alla loro testa comunisti e socialisti, e senza l’aiuto diretto e quotidiano delle masse contadine il cui eroismo è simboleggiato dal sacrificio dei fratelli Cervi.
La Resistenza fu certamente un grande movimento unitario che aveva il comune obiettivo di battere i tedeschi e i fascisti, e ad esso parteciparono uomini e donne appartenenti a varie classi sociali, con orientamenti politici diversi. Ma non tutte queste forze vi contribuirono in eguale misura: fu il Partito Comunista Italiano che dette alla Resistenza, alla lotta partigiana, all’insurrezione nazionale il maggior contributo di idee, di organizzazione, di uomini, di sangue e di sacrifici. Per quanto riguarda gli altri partiti politici, non tutti condivisero gli obiettivi più avanzati della Resistenza, anzi li combatterono: il Partito Liberale e la Democrazia Cristiana svolsero, in seno alla Resistenza, una continua azione di freno, mirando alla restaurazione del capitalismo e al ritorno a un regime nel quale le basi fondamentali dello Stato borghese restassero intatte.
La Resistenza italiana cominciò molto prima che negli altri paesi d’Europa, molto prima del 25 luglio 1943 giorno della Caduta del Fascismo, molto prima dell’8 settembre, giorno dell’armistizio. In Italia, durante vent’anni, vi fu una lotta accanita contro il fascismo, sia pure condotta da piccole minoranze e soprattutto dall’avanguardia della classe operaia e dei lavoratori, il Partito comunista – su 4.671 antifascisti condannati dal Tribunale Speciale fascista per la Difesa dello Stato, i comunisti furono 4.040, condannati a complessivi 23.000 anni di carcere.
La Resistenza comincia negli anni 1921-22 per assumere, dopo il settembre 1943, la forma più avanzata di lotta armata per concludersi con la vittoriosa insurrezione nazionale delle città dell’Italia del Nord, preceduta – nell’agosto 1944 – dall’insurrezione di Firenze, nella quale tutti i poteri di governo provvisorio furono assunti dal Comitato Toscano di Liberazione Nazionale.
Nei venti mesi della Resistenza, gli scioperi del marzo 1943 segnarono un importante momento di rottura nell’ultimo anno di vita del regime fascista. A Torino gli operai di tutte le maggiori fabbriche abbandonarono compatti il lavoro con la parola d’ordine «pane e pace». Di grande rilievo fu il ruolo delle donne, che diffusero in tutta la città migliaia di manifestini per la convocazione dei lavoratori in piazza, e strapparono a viva forza i loro compagni di lavoro dalle mani della polizia.
Gli scioperi del ‘43 furono il punto di arrivo della lunga esperienza di lotta antifascista compiuta dalle avanguardie della classe operaia italiana dopo l’avvento al potere del fascismo, e il successo riportato dalla loro agitazione suonò la campana a morto per il regime mussoliniano, che entrò rapidamente in una crisi profonda e cadde quattro mesi dopo, il 25 luglio 1943, dopo lo sbarco
L’estate del 1943 vede la liberazione dei territori da parte delle forze partigiane, che si prolunga fino all’autunno. Gli eserciti popolare liberano terre e villaggi dagli invasori tedeschi dando vita all «repubbliche partigiane», «piccole» (Val di Lanzo, Val Maira, Langhe, Valsesia in Piemonte, Oltrepo pavese in Lombardia, la Repubblica di Torriglia in Liguria, la repubblica di Montefiorino nell’Appennino bolognese) e le «grandi» (Val d’Ossola e Alto Monferrato in Piemonte, la Carnia e gran parte del Friuli).
Lo sciopero generale del marzo 1944, al quale partecipò oltre un milione di lavoratori, fu il più grande sciopero generale nell’Europa occupata dai tedeschi, e dette anch’esso l’avvio a una situazione nuova, perché segnò l’inizio delle battaglie offensive partigiane della primavera e dell’estate di quell’anno
La fine della monarchia, l’avvento della Repubblica, e una Costituzione democratico-borghese fra le più avanzate allora esistenti furono le effettive conquiste della Resistenza. Ma le aspirazioni al socialismo della parte più rivoluzionaria dei combattenti della guerra partigiana furono tradite: la continuità dello Stato borghese quale strumento di dominio della borghesia capitalistica italiana non fu mai rotta. Questa rottura rivoluzionaria spetta, nel ventunesimo secolo, all’attuale generazione del proletariato italiano, che – sotto la guida di un nuovo Partito comunista che sappia ricostruirsi sulle salde basi del marxismo-leninismo – faccia finalmente dell’Italia un paese socialista.
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