L’acqua è dei cittadini

L’adesione di larghi strati della società civile ad un modello culturale che da un lato tollera il malaffare e dall’altro non si esime, con il proprio silenzio, dal concorrere alla svendita del patrimonio pubblico.

E’ questa la deriva culturale che ha consentito la vendita dell’acqua ai privati ed atteggiamenti da parte dell’attuale gestore, che non solo sono tollerati, ma anche supinamente accettati, come se non ci fosse nessun’altra possibilità; ultimo in ordine cronologico, il rifiuto da parte di Acqualatina di corrispondere circa 11milioni di euro ai Consorzi di Bonifica, che a causa di ciò si trovano a rischio “fallimento”.

E questo nonostante vi siano numerose sentenze della magistratura che glielo impongano. Insomma, una società al di sopra della legge, anche quando decide di aumentare del 5% annuo il costo delle bollette, giustificandolo con assurde motivazioni.

A darle una mano il voto consenziente di decine di sindaci, tra i quali, in prima fila, trova posto il nostro. D’altronde, nemmeno la vittoria referendaria ha messo paura ai padroni dell’acqua: infatti hanno fatto finta di niente ed hanno continuato a gestire l’acqua alla loro maniera.

Peccato che le cose stiano diversamente da ciò che vogliono farci intendere. Infatti, l’abrogazione del’art. 23 bis (decreto Ronchi) ha comportato la fine dell’obbligo alla privatizzazione del servizio idrico e la possibilità di scelta da parte degli enti locali sulle modalità di affidamento; ma tra queste possibilità è stata reintrodotta, grazie al riferimento alla normativa comunitaria ,richiamato dalla stessa Corte Costituzionale (sentenza n. 24/2011), la possibilità degli enti di diritto pubblico, quali le aziende speciali e i consorzi.

Ma c’è di più. Se anche l’esito del primo quesito consente una pluralità di scelte, l’esito del secondo quesito è inequivocabile : abrogando l’adeguata remunerazione del capitale investito (i profitti), i cittadini italiani hanno chiaramente voluto l’uscita del servizio idrico da qualsiasi gestione di mercato (sentenza Corte Costituzionale n. 26/2011), di cui è logica conseguenza il superamento della SpA come forma di gestione. Il risultato referendario non può essere certo interpretato come una semplice richiesta di aggiustamento dell’esistente, ma deve essere il primo passo per un cambio di senso.

Perché l’acqua sia sottratta definitivamente alle logiche del mercato è necessario che venga ripristinata la forma più adeguata di gestione, e cioé quella attraverso enti di diritto pubblico, in grado di consentire una reale partecipazione dei cittadini, dei lavoratori e delle comunità locali alla gestione dell’intero ciclo dell’acqua ed alla sua conservazione per le generazioni future.

La presunta mancanza di soldi è la foglia di fico dietro cui si celano intrecci tra politica e finanza, insomma una partita di giro fatta pagare pesantemente ai cittadini, con la perdita del controllo di un bene comune essenziale alla vita, a cui per assurdo si aggiunge un aumento esponenziale della bolletta, senza alcun miglioramento del servizio, come ben sa chi apre ogni giorno il rubinetto. In questo contesto, il diritto all’obbedienza alle regole non può essere valido, anzi al contrario crediamo che debba valere il diritto alla disobbedienza nei confronti di atti che contraddicono il principio secondo cui le normative devono tutelare l’interesse generale e non diversamente quello dei politici e della cerchia di affaristi di cui si circondano.

Per questo crediamo che vada difesa con forza la legittimità della richiesta del Comitato spontaneo di lotta contro Acqualatina di non pagare le bollette dell’acqua fino a quando gli impianti non torneranno nella disponibilità del comune di Formia, l’unico legittimo rappresentante degli interessi della nostra comunità.

Per questo auspichiamo inoltre la nascita di un fronte comune che metta insieme tutti quei soggetti collettivi ma anche individuali che credono che tra i primi atti della prossima amministrazione comunale vi sia la sottrazione della nostra acqua dalle mani dei privati e la sua restituzione alla collettività, ma senza cadere nel solito “politichese” fatto più per confondere che per convincere.

Un processo che non è impossibile, lo ha dimostrato il comitato di Aprila che ha imposto al proprio consiglio comunale di deliberare in tal senso, ricevendo poi nelle aule giudiziarie conferma della legittimità del proprio operato. Ed allora, che la resistenza continui, perché siamo decisi a non rassegnarci allo squallore dell’esistente.

Gennaro Varriale
segretario del Circolo “Enzo Simeone”
partito della Rifondazione Comunista
Formia

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