Riflessioni sul piano casa 2010
La città è un bene comune, dove tutti hanno la responsabilità delle trasformazioni che la attraversano. La città deve essere intesi come un organismo nel quale tutte le parti sono solidalmente legate tra loro e non la somma di interessi individuali, di famiglie e di gruppi.
Va ristabilito il principio secondo cui il suolo sul quale la città è costruita appartiene alla collettività, che, come tale, è padrona delle scelte che concorrono a fare della città uno strumento utile alla società.
Le trasformazioni della città devono avvenire nel rispetto della sua natura di organismo, pertanto anche la modifica di una sola delle sue parti influisce sul funzionamento delle altre. Tutto ciò implica consistenti trasformazioni nel sistema dei valori della società, negli atteggiamenti delle persone e nei meccanismi istituzionali e legislativi.
Tutto ciò è al di là dal venire.
Il Piano Casa della Giunta Polverini è l’ennesima conferma di quanto sia “Forte” il legame tra l’attuale centrodestra e la speculazione edilizia, un vero e proprio regalo servito su un piatto d’argento ai costruttori, nonché la conferma dei loro legami, in molti casi anche familiari, con la politica.
Con la scusa di risolvere l’emergenza abitativa e contrastare la crisi economica, si prende un provvedimento che infliggerà un’ennesima ferita al nostro territorio e non risolverà i problemi di quanti vivono il dramma della mancanza di una “casa”. Mentre si offrono “cubature” a buon mercato, non si prende minimamente in considerazione l’abbattimento delle liste d’attesa per l’assegnazione delle case popolari.
Noi siamo contrari al Piano Casa perché: mette da parte la pianificazione urbanistica regolarmente approvata nei consigli comunali, rinunciando a priori ad aggiornare gli strumenti urbanistici esistenti; non dice nulla sulle effettive necessità abitative del territorio. Si parla sempre dell’emergenza abitativa e di costruire case ma non si conosce quale sia il reale fabbisogno.
Il Piano Casa che si vuole approvare, ovvero il provvedimento di modifica della L.R. 21/2009 – che Rifondazione Comunista non ha approvato – è solo un tampone dettato più dalle necessità dei palazzinari di monetizzare nel breve i loro immobili e dei furbi di continuare a fare i furbi (la crisi si è fatta sentire anche per loro), che di rispondere alla enorme richiesta di case a basso canone da parte di chi versa in serie difficoltà economiche. Chi è nell’impossibilità di pagare un canone a prezzo di mercato può affrontare la spesa di un’ampliamento?
In merito all’aspetto urbanistico denunciamo l’assoluta superficialità con cui si affronta il problema casa, perché un piano urbanistico – in quanto tale – deve partire dalla ricognizione del fabbisogno abitativo e dalla disponibilità di abitazioni sul territorio e prospettare una soluzione, generale e non individuale.
Tutto ciò non è stato fatto. Se consideriamo che le previsioni dei piani regolatori sono state sovradimensionate e le cubature previste sono state in gran parte di realizzate, sono evidenti le perplessità che si hanno su quali siano effettivamente i beneficiari.
Questo piano predilige in maniera evidente il liberismo urbano alla pianificazione democratica e popolare. Si fa scudo degli abitanti, e del loro disagio abitativo, per aumentare le rendite dei costruttori, senza nemmeno considerare il conseguente problema dell’immediato abbattimento degli standard urbanistici e della de-qualificazione del territorio, senza alcuna previsione sui suoi reali effetti.
Basti considerare che quello del 2009, fin troppo benevolo nei confronti dei costruttori, nel Lazio ha prodotto appena duecento richieste relative ad interventi di questo genere, di cui venti nella provincia di Latina. Un vero è proprio flop tanto da spingere la giunta provinciale a chiedere un intervento diverso rispetto a quello in via approvazione.
Ancora una volta si premia l’abusivismo edilizio con la concessione di un ulteriore premio di cubatura, nonostante abbia arrecato danno al territorio ed alla comunità, e gravato sulle casse comunali. Come dire oltre al danno si aggiunge la beffa per chi ha rispettato le regole.
Gli effetti si vedranno soprattutto nelle zone agricole (zone E), sicuramente le più colpite dal fenomeno dell’abusivismo, mortificandole ancora di più. Si potrebbe obbiettare a queste osservazioni dicendo che in tali zone si consentono solo ampliamenti senza cambi di destinazione d’uso, incentivando le produzioni agricole. Ma quanti depositi agricoli in realtà sono ville?
La novità dei cambi di destinazione d’uso creerà notevoli squilibri nei territori perché da un lato aumenterà la disponibilità divani residenziali, ma dall’altro ridurrà la disponibilità di vani per attività e servizi.
In tal senso, l’esclusione delle zone industriali (D) ed agricole (E) dagli interventi finalizzati al cambiamento di destinazione d’uso da non residenziale a residenziale, è insufficiente; in quanto dovevano essere escluse dal provvedimento anche quelle destinate ad attrezzature ed impianti d’interesse generale (zone F), al fine di spingere i comuni a ridurre il cronico deficit di aree verdi ed impianti sportivi o culturali.
Inoltre, i profeti del turismo non hanno considerato che la riconversione ad uso abitativo delle attività produttive dismesse nelle zone di completamento urbano (zona B) e nelle zone di espansione (zona C), sottrarranno volumetrie utili all’economia di quelle zone.
Mentre, il premio di cubatura del 30%, per alloggi da dare in locazione a canoni agevolati rappresentano solo una blanda cortina fumogena dietro la quale nascondere le speculazioni, ossia un misero contentino, o meglio, un osso gettato ai cani.
Gli alloggi a canone agevolato pensati per gli studenti universitari sanciscono la definitiva rinuncia alla costruzione di alloggi per studenti, destinando quest’ultimi in pasto al mercato privato degli affitti, con buona pace del diritto allo studio.
Da quanto osservato fino ad ora, è evidente il netto contrasto del Piano Casa con gli standard urbanistici, definiti nel DM 1444/1968 e s. m. i., che negli articoli 3 e 4 dispone i limiti inderogabili per il rapporto tra spazi destinati a insediamenti residenziali e spazi pubblici (attività collettive, verde pubblico, a parcheggi), obbligando le amministrazioni comunali a precisare come siano altrimenti soddisfatti i fabbisogni dei relativi servizi ed attrezzature, nonché di reperire gli spazi necessari al bisogno. Questo aspetto assume toni ancor più gravi se si pensa che proprio nel nostro territorio tali limiti sono violati.
Il centrodestra, consapevole di ciò, ha tentato di mascherare la violazione degli standard urbanistici subordinando qualunque intervento all’esistenza delle opere di urbanizzazione ovvero al loro adeguamento o alla realizzazione in relazione al maggior carico urbanistico apportato.
La stessa norma offre la scappatoia disponendo che qualora venga comprovata l’impossibilità dell’adeguamento, o della realizzazione, delle opere di urbanizzazione secondaria, gli interventi sono comunque consentiti, dietro pagamento di un contributo straordinario pari al 50% degli oneri concessori dovuti. “Basta pagare” e si può fare tutto, tanto “poi si vede”.
Infatti, su qualsiasi intervento, compresi gli adeguamenti sismici ed energetici sono incentivati sempre con premi di cubatura, quasi mai con sgravi fiscali. A rimetterci è sempre l’urbanistica e con essa la qualità della vita, mai le casse dello Stato.
In tal modo, invece di consolidare i nuclei urbani esistenti anche con piani di recupero, sorgerà l’esigenza di urbanizzare territori disarticolati senza la previsione e l’assenso preliminare del consiglio comunale e con esso della comunità, su cui graveranno tali investimenti immobiliari.
Non si fa inoltre cenno ad incentivi per il recupero ed il miglioramento o l’adeguamento sismico degli aggregati edilizi, tipologia molto diffusa nei nostri centri storici, e di così complessa gestione poiché le unità abitative sono addossate le une alle altre oltre ad essere di proprietà diverse.
In tutto questo non poteva mancare la logica della spartizione. Nell’Art. 4 (interventi di sostituzione edilizia con demolizione e ricostruzione degli edifici) viene data facoltà al soggetto proponente l’intervento di sostituzione edilizia di usufruire di un ulteriore premio di volumetria pari al 5% qualora esso provveda attraverso la procedura del concorso di progettazione attraverso gli ordini professionali competenti e l’intervento venga realizzato in conformità al progetto vincitore.
Ora questo potrebbe apparire un fatto positivo in quanto dovrebbe promuovere la qualità edilizia ed architettonica degli edifici e del tessuto urbano, in realtà si tradurrà in un ulteriore vantaggio ad uso e consumo di pochi, in quanto questi interventi saranno a vantaggio dei “soliti noti”.
Dal punto di vista legislativo il Piano Casa, così come uscito fuori dalla conferenza Stato- Regioni del 2009, è un atto incostituzionale in quanto: 1) introduce la de – pianificazione del territorio, 2) comprime l’autonomia degli enti locali – in primis la funzione pianificatrice dei comuni; 3) sottrae allo Stato la tutela del paesaggio, come sancito dall’articolo 9 della Costituzione. Ragioni per cui abbiamo motivo di ritenere che l’attuazione di questo provvedimento solleverà una serie di conflitti tali da renderlo inapplicabile.
Diversamente da questo obbrobrio chiediamo, così come meglio descritto nella Proposta di Legge popolare sul diritto alla casa e all’abitare frutto di un serio confronto con le associazione di chi vive il disagio abitativo, depositata presso la regione Lazio, la ripresa di una seria politica di edilizia residenziale pubblica rivolta a quanti hanno la “reale” necessità di un alloggio.
A questa politica devono essere affiancati degli interventi volti al recupero dell’edificato esistente ed al consolidamento dei nuclei urbani all’interno dei quali – anche attraverso l’autorecupero e l’autocostruzione – devono essere reperiti nuovi alloggi, da destinare a chi ne ha veramente bisogno.
Nel caso di Formia chiediamo alla giunta Forte di dire qual’è il reale fabbisogno abitativo di Formia, di utilizzare il patrimonio edilizio pubblico ad iniziare dal blocco di ulteriori vendite del patrimonio pubblico.
Di impegnarsi con la Regione Lazio a recuperare, nell’ambito dei piani previsti dalla legge n.457/1978, gli immobili, destinati a finalità diverse da quelle di edilizia residenziale pubblica, rimasti inutilizzati da più di tre anni e/o in evidente stato di degrado, al fine di recuperarli anche in concorso con cooperative di autorecupero (L.R. 55/1998) e autocostruzione.
Allo stesso tempo, nell’immediato, proponiamo ai cittadini del nostro territorio la costituzione di laboratori (osservatori) di quartiere perché possano partecipare già nelle fasi iniziali della formazione delle scelte. C’è da lavorare molto per sollecitare i cittadini a partecipare alla progettazione del futuro luogo dove vivono.
Il sistema industriale italiano è ormai fallito, la politica e i grandi gruppi di interesse si affidano alla rendita immobiliare per risolvere i gravi problemi di lavoro che riguardano i cittadini. I fautori del fallimento economico dell’Italia sono al lavoro per condurci da quello che è un possibile progresso al Medioevo.
CIRCOLO “ENZO SIMEONE”
partito della Rifondazione Comunista
Formia